Descrizione

Michel de Ghelderode, Pièces. La figlia di Giairo, Il sonno della ragione, Il sole tramonta…, Introd. Anna Paola Soncini Fratta, Postfaz. Riccardo Benedettini, Prima traduz. it. F. Cremaschi - 15 novembre 2021

«Le Fiandre sono, per Ghelderode, un mito; sono quell’immagine del passato, glorioso e artisticamente possente, che Charles De Coster aveva magnificato nel suo Ulenspiegel. […] Ma vive in un altro secolo e si scontra con i cambiamenti legati alla Prima guerra mondiale, all’invasione tedesca, alle rivendicazioni legate alla lingua fiamminga. […] Ghelderode stesso sostiene: ho scritto questo teatro ed è stata la mia vita; non c’è stato altro nella mia esistenza. Scrivere è stato per me una grande avventura intellettuale, un sogno attivo. Ho scritto senza aspettarmi nulla in stato di disperazione. All’inizio il mio teatro appariva come una curiosità, come un mostro che non poteva andare in scena. Ma il tragico e la crudeltà del quotidiano hanno fatto sì che l’epoca sia stata in accordo con il mio teatro.
Mettere l’uomo a nudo, forse anche mettere sé stesso a nudo, questa sembra essere stata la sua intenzione; esporlo come uno scorticato vivo senza pudore né concessioni all’ipocrisia sociale. Così facendo è senz’altro stato un poeta dell’animo umano di cui avevamo e abbiamo ancora oggi bisogno.»
(Introduz. di A. P. Soncini Fratta)

«È sulla base di quanto assimilato nell’infanzia […] che Ghelderode, drammaturgo, prosatore e poeta, sente quel mondo magico, diabolico e apocalittico, finendo per ricrearlo più tardi sulla scena: chiese e teatro come luoghi di ipnosi («Lieux de hypnose!»). E così nel teatro, come nell’organizzazione religiosa, molto rigorosa, sebbene non gesuitica, degli studi, il fine è quello di ricorrere all’immaginazione (e alla vigorosa fantasia dell’illusione scenica) per rappresentare immagini realmente accadute ma talmente torbide, violente e ossessive che solo l’arte può trasporre in un significato più alto. Da questa complessa posizione ghelderodiana (intermedia tra la giovanile, rigida educazione religiosa e il successivo ritrovamento delle chiavi magiche dell’impero dei sogni) nasce l’attenzione dimostrata ad una impostazione storica che, attraverso la musica e la pittura, apre a Ghelderode la via della letteratura. […] La meditazione sulla morte diventa dialogo con i morti, con i grandi o umili personaggi del passato, intermittenza di luce e oscurità per sfuggire all’autocontrollo della ragione. In questo senso si muovono le tre pièces [qui] tradotte.»
(Postfaz. di R. Benedettini)

GIAIRO  Ave Maria gratia plena e poi come?… (sbadiglia) Inutile… Le idee si distaccano… Troppo dolore, tutto il dolore… Non avrei dovuto bere. Era per il mio bene, amici? Si hanno molti amici quando si è, la domenica, capitano della guardia civica. Ah sì, Blandina, dovrei baciarti, siamo soli… Tu ci tieni? Lo saprai? No, inutile… Neppure le parole, tutte le parole tragiche… Sprofondo sempre più… L’uomo in mare è papà… Il mare non è che uno stagno… Abbiamo pianto ed ecco uno stagno… Bianco o nero? Per l’anitra bianca lo stagno è nero e per il cigno nero… Acque sopite… Dormire…
(Da La figlia di Giairo, p. 59)

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L’IMPRESARIO  Signore, pagate troppo! Ciò che otterrete in cambio è ben misera cosa. Questa è una fiera di paese. Per voi ci vorrebbe uno spettacolo eccezionale, qualcosa di sconcertante… cadute di bolidi… catastrofi ferroviarie… vulcani… il colera… natura, insomma… non una riproduzione… Oppure… (abbassa la voce) uno spettacolo teatrale in un asilo per alienati! (sogghigna) O forse la guerra…
L’UOMO  (rabbrividisce)  La guerra? L’ho fatta. Bello, bello!… Ne ho ancora l’odore nel naso. No, no, signore, nel vostro baraccone di paese mi riposerò… Tutto quello che mi proponete posso vederlo al cinema. Quanto alla mediocrità del vostro repertorio, me ne contenterò. Chi vi dice che non vedrò meraviglie… con questa lampadina colorata che si accende e spegne nel mio cervello…
(da Il sonno della ragione, pp. 133-134)

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CARLO  Taci, uomo senza nome! Sarebbe inutile cacciarti, poiché la Fatalità – come tu chiami la Provvidenza – ti fece attraversare la mia strada. Partiti insieme, concludiamo insieme il nostro periplo. Ciò non mi rallegra, anzi mi opprime. (si risiede) La Fatalità, che dico, la Provvidenza ha permesso che esistesse un essere simile a me per destino, che un altro mi doppiasse? (brusco) La tua vita, raccontamela…
MESSER IGNOTUS  Il mio regno? Ho regnato sull’Impero dei Sogni. Come voi, sono stato grandissimo, un’anima d’eccezione… un’anima superiore. I miei territori, più sconfinati dei vostri: quelli concepiti dal pensiero. Le mie vittorie? Tutte quelle che Dio consente all’orgoglio umano. Il mio scettro fu un giunco tagliato, una piuma d’uccello. Come per voi, il sogno ha superato le forze, come voi cado fulminato dalla mia altezza, in preda alle vertigini. Come Vostra Maestà, sono vinto… espio. Non sussisterà di me che una traccia infuocata tra i cieli, la scia dell’arcangelo incendiato che precipita.
(Da Il sole tramonta…, p. 231)

Michel de Ghelderode (1898-1962), nome d’arte di Adémar Adolphe Louis Martens, nasce a Ixelles, quartiere di Bruxelles, dove compirà i suoi studi e muoverà i primi passi in campo letterario, pubblicando su riviste alcuni poemi, racconti e i primi testi teatrali. Congedato dall’esercito per motivi di salute, che resterà cagionevole a causa di una malattia respiratoria giovanile, Ghelderode si dedicherà sempre più assiduamente al teatro a partire dagli anni Venti e Trenta, componendo pièces che saranno rappresentate spesso prima in fiammingo che in francese, sua lingua d’espressione. L’imponente opera drammaturgica dello scrittore (in buona parte ancora inedita in Italia), dovrà attendere la fine degli anni Quaranta, inizi Cinquanta per una pubblicazione sistematica, prima per le Éditions du Houblon (Bruxelles) e poi per Gallimard; in Italia è principalmente conosciuta nelle traduzioni degli anni Sessanta e Settanta di Gianni Nicoletti e Flaviarosa Rossini per Einaudi, che ha riunito undici suoi drammi nella collana Supercoralli (1972).

Photo Cayet, Studio delle mani di Michel de Ghelderode